La storia di Rodi affonda le radici nell’antichità. Nel periodo greco la sua prosperità, dovuta alla posizione favorevole ai commerci, le permise di creare alcune colonie persino in Sicilia (pensiamo a Gela), e dopo la fondazione della nuova capitale, che ancora oggi è la città principale, si arricchì di palazzi e opere d’arte, fra cui la più famosa era un’imponente statua di bronzo dedicata a Helios (il dio Sole), conosciuta anche come Colosso di Rodi.
Passarono molti secoli, e l’isola venne presa di mira dai romani, che prima la saccheggiarono e poi la resero parte della loro provincia insulare. In seguito, la posizione di Rodi, che le era valsa enormi fortune nell’antichità classica, la fece cadere al centro di lotte burrascose fra bizantini, genovesi, turchi e pirati, che se la contesero per lungo tempo.
L’anno di svolta fu il 1309, quando con l’aiuto dei genovesi, l’Ordine dei Cavalieri di San Giovanni ne prese possesso e ne fece la sua sede per più di due secoli. L’ordine, che era stato fondato dopo l’anno Mille per assistere i pellegrini cristani di Gerusalemme, dopo le conquiste arabe della Città Santa, si era spostato a Cipro. Anche quell’isola fu preda dell’invasione turca, per cui i cavalieri raggiunsero Rodi, dove resistettero fino al 1523, quando si spostarono definitivamente a Malta (da qui il nome di Cavalieri di Malta). Fino al 1912, quando gli italiani strapparono l’isola ai turchi, essa rimase sotto l’influenza dell’Impero Ottomano, perdendo molto del suo vecchio prestigio e attraversando secoli di decadenza.
La presenza italiana portò a un recupero dei palazzi e delle strutture medievali, a una ripresa degli scavi archeologici e alla creazione di nuovi quartieri che riflettono ancora oggi l’impronta urbanistica degli architetti dell’epoca. Dopo la Seconda Guerra Mondiale e un breve periodo di protettorato britannico, l’isola divenne parte della Grecia moderna, nel 1948.
La bellissima cerchia di mura, che venne ricostruta a fine Quattrocento dopo un forte terremoto e un primo tentativo di assedio degli Ottomani, è dotata di diverse porte e bastioni, che venivano controllate dalle diverse Lingue dell’Ordine, cioè da ognuno dei diversi popoli che facevano parte dell’Ordine dei Cavalieri. Fra le più suggestive e imponenti resta ancor oggi la porta d’Amboise.
Una volta entrati all’interno delle mura, fra le strade più suggestive e cariche di storia, troviamo la via dei Cavalieri, dove sono situati i vari Alberghi delle Lingue, ovvero i prestigiosi palazzi che facevano capo a ciascuna delle delegazioni più famose che abitavano sull’isola. Fra questi, possiamo riconoscere facilmente l’Albergo della Lingua d’Italia, della Lingua di Spagna, della Lingua di Francia. I piani più bassi degli edifici erano adibiti a magazzini e il loro attuale aspetto è dovuto al lavoro di restauro che venne fatto dagli italiani fra gli anni Dieci e gli anni Quaranta del XX secolo.
Fra i palazzi più suggestivi che furono sottoposti a recupero e restauro dagli italiani, troviamo l’Ospedale dei Cavalieri, che all’epoca dell’Ordine era adibito a luogo di cura per gli infermi. Dopo il periodo ottomano, in cui era stato adibito a caserma, oggi in una parte del palazzo è ospitato il ricco Museo Archeologico dell’isola. Nel cortile, circondato da due file di portici sovrapposti, è stato posto un bel leone di pietra bianca del I secolo a.C.
L’ambiente più suggestivo dell’Ospedale dei Cavalieri rimane l’ampia sala dell’Infermeria, coperta da delle travi in legno di cedro e le cui navate accolgono molte delle pietre tombali dei cavalieri, laddove durante gli anni di presenza dell’Ordine era possibile ospitare un centinaio di letti per gli infermi.
Il palazzo più sontuoso di tutti doveva essere però quello del Gran Maestro dell’Ordine. Si presenta esso stesso come una fortezza all’interno delle mura e dà ancora l’idea di un luogo inespugnabile con le sue mura spesse, i suoi torrioni, i suoi sotterranei adibiti a magazzini e il suo cortile di aspetto militaresco.
Severamente danneggiato dai turchi che ne avevano fatta una prigione, venne recuperato dagli italiani con arredi sontuosi e anche mosaici antichi frutto di ritrovamenti archeologici sulle altre isole del Dodecaneso. In una delle stanze si può anche trovare la lupa romana che era stata posta su una colonna all’ingresso del vecchio porto, per simboleggiare l’appartenenza dell’isola all’Italia, sostituita alla fine della guerra da un cervo, simbolo dell’isola.
Il palazzo doveva essere adibito a sede ufficiale delle delegazioni italiane e predisposto per ospitare il Re durante le sue visite ufficiali, come dimostra lo stemma datato 1939 che campeggia ancora sulla parete di una delle sale.
Appena fuori dalle mura della città di Rodi, il quartiere che si protende fino alla punta dell’isola è caratterizzato quasi per intero dalla mano degli architetti italiani, tralasciando la presenza delle nuove strutture alberghiere. Fra gli interventi più caratteristici, ricordiamo il Mercato Nuovo, opera del bravo Florestano Di Fausto. Egli conferisce un’aria esotica all’intero complesso che appare come un poligono con una corte interna, abbellito da portici di gusto arabeggiante.
Sempre dello stesso architetto è la chiesa di Àgios Ioànnis costruita in stile neo-medievale, che si trova proprio di fianco al Mandracchio, il vecchio porto, e davanti alla quale vi è una fontana ispirata alla medievale Fontana Grande di Viterbo.
Tanti sono gli angoli suggestivi della città di Rodi, dalle piazzette, alle vecchie chiese e moschee che punteggiano i vari quartieri incastonati nelle mura, agli altri palazzi importanti come la Castellania (vecchia Loggia dei Mercanti), o la sinagoga al centro del quartiere ebraico sefardita, per non parlare degli scorci sul mare dal blu intenso che si intravedono sotto gli archi medievali di alcune delle porte della fortezza.
Rodi è una città che si presta ad essere raccontata. Non per caso è l’ambientazione di una parte del mio terzo romanzo giallo La vendetta esibita.
Testo e fotografie di Davide Fustini